Vendere cibo e bevande negli Stati Uniti: il vademecum dell’esportatore

6 Ottobre 2023
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Il mercato statunitense rappresenta una delle mete più attraenti per i prodotti alimentari made in Italy, ma per evitare di ritrovarsi con la merce distrutta o bloccata in dogana è essenziale conoscere la normativa americana in ogni minimo dettaglio. Ecco cosa bisogna assolutamente sapere!

Complici la presenza di una nutrita comunità di origine italiana e l’elevato potere d’acquisto dei consumatori locali, gli Stati Uniti mostrano, da sempre, una speciale predilezione per i prodotti agroalimentari tricolori, e non a caso, rappresentano uno dei mercati più dinamici ed in crescita per l’export del food made in Italy. Nel 2022, le esportazioni italiane di prodotti agroalimentari negli Stati Uniti hanno sfiorato i 7 miliardi di euro, e anche per il 2023, nonostante il perdurare della difficile congiuntura internazionale, è previsto un risultato simile, calcolando che solo nel primo semestre dell’anno sono stati venduti prodotti per 3,2 miliardi di euro.

Il mercato americano, tuttavia, può essere tanto ricettivo quanto ostico dal punto di vista normativo, soprattutto da quando, nel 2016, è entrato in vigore il “Food Safety Modernization Act” (FSMA), che rappresenta la riforma più ampia della legge americana sulla sicurezza alimentare dal 1938. La presenza di focolai di gravi malattie di origine alimentare evitabili e le minacce di bioterrorismo hanno infatti spinto il Congresso degli Stati Uniti ad adottare questa nuova legge che pone una maggiore enfasi sulla necessità di garantire la sicurezza alimentare e la salute pubblica con azioni preventive, piuttosto che reagire dopo episodi di contaminazione, come avveniva in passato.

Spostando il focus sulla prevenzione, all’atto pratico, il FSMA ha espanso i poteri della Food and Drug Administration (FDA), l’agenzia americana responsabile per la regolamentazione e supervisione della sicurezza di cibo, supplementi dietetici, farmaci, vaccini, dispositivi medici, cosmetici e prodotti a base di tabacco, affidandogli il compito non solo di emanare le regole riguardo ai modi in cui il cibo viene prodotto, processato e distribuito (e quindi anche importato) negli Stati Uniti, ma anche quello di strutturare il sistema di controllo affinché queste regole vengano effettivamente rispettate.

È importante sottolineare che queste regole valgono tanto per i produttori americani che per quelli stranieri, e per questo, dunque, riguardano da vicino tutte le imprese italiane che esportano prodotti agroalimentari negli Usa.

Nello specifico, esse sono tenute a:

  • elaborare il piano HARPC (Hazard Analysis and Risk Based Preventive Controls) effettuando un’analisi che individui tutti i rischi potenziali associati all’attività produttiva e a stabilisca dei processi di prevenzione e correzione nell’eventualità del verificarsi di un rischio. Questo dovrà integrare il piano HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points) già presente nelle aziende italiane poiché obbligatorio nell’UE. Mettersi a norma con la normativa FSMA è perciò meno complicato di quanto sembri, soprattutto per le aziende alimentari italiane, da sempre attente alla qualità del prodotto e comunque obbligate ad adottare un piano HACCP. L’HARPC si applica a tutti i prodotti trasformati con l’esclusione di carni, uova e prodotti a base di uova, latte e prodotti a base di latte e prodotti agricoli freschi, che rientrano sotto la giurisdizione dell’ USDA (U.S. Department of Agriculture). Sono esclusi anche i produttori di bevande alcoliche (sopra i 7 gradi) i cui prodotti sono regolati dal TTB (Alcohol and Tobacco Tax and Trade Bureau).
  • implementare il Food Safety Plan (FSP)  (qui un utile tool messo a disposizione dall’FDA per elaborare il piano) che risulta essere simile al piano di autocontrollo aziendale implementato dalle imprese alimentari italiane, ma che dovrà: essere tradotto in inglese; essere ampliato con l’analisi dei rischi; documentare la gestione, il monitoraggio, eventuali correzioni e verifiche dei controlli preventivi introdotti dal FSMA; mantenere dei record, cioè la registrazione puntuale dei controlli che il piano HARPC avrà evidenziato come necessari.
  • ad occuparsi di elaborare e validare il Food Safety Plan è il Preventive Controls Qualified Individual (PCQI), che può essere una persona interna all’azienda oppure un consulente esterno,  ma che dovrà comunque effettuare una specifica formazione e conseguire un particolare diploma rilasciato da un ente riconosciuto, la Food Safety Preventive Controls Alliance (FSPCA).

È bene sottolineare che la nuova normativa non sostituisce le vecchie norme per esportare, ma le integra: le procedure di esportazione e la documentazione per l’importazione negli Stati Uniti rimangono infatti le stesse già in vigore prima del 2016. In particolare, i tre step imprescindibili per esportare negli Usa rimangono:

  1. La registrazione FDA

Il primo passo per essere abilitati ad esportare prodotti alimentari negli Stati Uniti è la registrazione presso la FDA (Food Facility Registration) che si effettua online attraverso il FIS, il sistema elettronico della FDA. È obbligatoria per tutti gli stabilimenti che producono, trasformano, confezionano o detengono alimenti destinati al consumo da parte di persone o animali negli Stati Uniti. Dunque, riguarda sia gli stabilimenti posti sul suolo americano che quelli localizzati all’estero.

È importante sottolineare che oggetto della registrazione è lo stabilimento produttivo, quindi non la sede legale o amministrativa, ma il luogo in cui avviene fisicamente la produzione. All’interno della registrazione è possibile indicare anche altre sedi aziendali (per esempio se le si preferisce per le comunicazioni), ma l’oggetto della registrazione sarà sempre e solo lo stabilimento produttivo. La ratio generale che sta dietro alla registrazione FDA infatti, è di dare la possibilità all’FDA di ispezionare lo stabilimento produttivo in qualsiasi momento per verificare la conformità delle attività. È chiaro che l’FDA quindi non ha bisogno di conoscere altre sedi aziendali diverse da quella produttiva.

Tra le informazioni richieste per completare la registrazione vi sono il nome e l’indirizzo dello stabilimento, la ragione sociale, il nome del proprietario, i marchi utilizzati, i prodotti trattati, una descrizione delle attività che si svolgono al suo interno, il nome dello US Agent e i contatti di riferimento.

Altro punto importante è il DUNS number, un numero univoco identificativo dello stabilimento che viene emesso dalla Dun&Bradstreet e che deve essere indicato in fase di registrazione FDA. Ogni stabilimento può richiederlo gratuitamente agli organi abilitati all’emissione dello stesso.

Al completamento della registrazione FDA, lo stabilimento riceverà il suo registration number che lo identificherà nelle pratiche di export con gli Stati Uniti.

In caso di mancata registrazione dello stabilimento la FDA può intraprendere azioni di tipo civile o penale, bloccare la merce in dogana e distruggerla.

  1. La nomina dell’ FDA Agent (o US Agent)

Lo US Agent è una persona(fisica o giuridica) residente negli Stati Uniti che ogni stabilimento estero che si registra presso l’FDA deve obbligatoriamente nominare. Contrariamente a quanto molti pensano, il suo non è un ruolo commerciale: l’agente funge semplicemente da “ponte” tra FDA e stabilimento nel caso in cui ci siano comunicazioni urgenti (come per esempio l’avviso di un’imminente ispezione) o difficoltà di comunicazione. Per esempio, se per barriere linguistiche o problemi di fuso orario l’FDA non riuscisse a mettersi in contatto con l’azienda, potrà rivolgersi allo US Agent della stessa per facilitare la comunicazione. Allo stesso modo, se l’azienda ha necessità di comunicare con l’FDA, può interpellare il suo agente.

Lo US agent deve essere “nominato” in sede di Registrazione FDA. Dal momento che la nomina dell’agente è una condizione obbligatoria per gli stabilimenti esteri, la registrazione non sarà considerata valida fintanto che l’agente non avrà accettato tale nomina. Una volta avvenuta l’accettazione, questa verrà notificata all’azienda che otterrà così il numero di Registrazione FDA valido ed utilizzabile per le attività di export.

  1. La Prior Notice

La Prior Notice (letteralmente “notifica anticipata”) è una notifica, appunto, che l’esportatore deve inviare all’FDA ogniqualvolta effettua una spedizione verso gli Stati Uniti.

È una procedura abbastanza semplice che si completa attraverso il sistema elettronico della FDA (lo stesso attraverso il quale si compila e gestisce la propria registrazione FDA). Le informazioni richieste riguardano l’azienda, il numero di registrazione FDA, una sintetica descrizione dei prodotti, i colli, eventuali dati dell’importatore se diverso dall’azienda esportatrice, persona di contatto, informazioni sul tipo di trasporto, altre specifiche in base al tipo di prodotto importato.

La Prior Notice deve essere inviata anche nel caso in cui la merce che viene spedita sia solamente una campionatura.

Gli Stati Uniti, in definitiva, rappresentano un mercato dal potenziale illimitato che però presuppone un alto grado di preparazione da parte delle aziende produttrici. Nulla di impossibile però: adottando tutti gli accorgimenti richiesti per conformarsi alle normative e rispettando vincoli e tempistiche  imposte dall’FDA, l’America sarà molto più vicina di quello che sembra!

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