Digital Export: il potenziale inespresso delle PMI italiane

2 Agosto 2023
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Crescono le esportazioni italiane attraverso l’e-commerce, ma le PMI italiane sfruttano ancora troppo poco questo canale. Come possono colmare questo divario e diventare più competitive?

Nell’attuale scenario internazionale, caratterizzato da profonda incertezza ed elevata competitività, e dalla presenza di consumatori sempre più inclini all’uso delle tecnologie digitali, il commercio elettronico genera nuove interessanti opportunità di sviluppo e riveste un ruolo sempre più centrale nelle strategie di export delle imprese italiane, soprattutto per quelle dei settori le cui caratteristiche di qualità ed esclusività sono particolarmente apprezzate dagli acquirenti digitali all’estero. 

L’export digitale italiano di beni di consumo diretto (B2C, tramite sito proprio, marketplace o siti di vendite private) o intermediato (B2B2C,tramite retailer online), infatti, è cresciuto del 20,3% nel 2022, toccando un valore di 18,7 miliardi di euro e raggiungendo una quota pari all’8,8% dell’export italiano complessivo. Il Fashion, con un valore di 10,1 miliardi di euro, resta considerevolmente il settore più importante per l’export digitale, con un peso pari al 54% del totale, seguito da Food & Beverage (2,6 miliardi di euro, +18,2% rispetto al 2021), e Arredamento (1,3 miliardi di euro, in crescita del +13% rispetto al 2021).

Sul fronte del commercio tra aziende, invece, l’export digitale B2B (tramite cioè canali digitali come EDI o Web EDI, Extranet, Marketplace) ha raggiunto nel 2022 il valore di 175 miliardi di euro, in crescita del +20% rispetto ai 146 miliardi del 2021, e con un peso di oltre il 28% sul totale dell’export italiano. Nel B2B, le filiere più digitalizzate sono l’Automotive (38 miliardi di euro, 22% del totale), il Fashion (26 miliardi di euro15% del totale) e la Meccanica (17,8 miliardi di euro10% del totale), ma le crescite maggiori si riscontrano nel Farmaceutico (+47%), nell’Elettronica di consumo (+21%) e nel Fashion (+20%).

È quanto emerge dall’ultima ricerca condotta dell’Osservatorio Export Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, presentata lo scorso 6 giugno durante il convegno “Export digitale: Cultura e Consapevolezza contro l’incertezza”.

Su quali mercati puntare?

L’Osservatorio ha elaborato anche un indicatore per identificare i Paesi di maggiore interesse per l’export digitale italiano tra 20 principali economie mondiali, con particolare attenzione alla presenza di un potenziale inespresso dal punto di vista e-commerce.

Ai primi posti, in questa particolare classifica, si trovano Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Svizzera e Francia, una classifica che rispecchia l’attuale elenco dei principali Paesi destinatari dell’export complessivo italiano. Proseguendo nel ranking, emergono Paesi come Singapore (6/20), Canada (7/20) e Corea del Sud (8/20), grazie a ottimi punteggi in ambito commerciale, infrastrutturale (sia ICT che logistico) e amministrativo. La Corea del Sud, in particolare, essendo una delle più avanzate economie dell’Asia, è interessata a settori di punta dell’export italiano (es. settore meccanico, moda, arredamento etc.), e presenta un mercato digitale di notevoli dimensioni che potrebbe portare maggiori soddisfazioni alle imprese italiane. È bene tuttavia prestare attenzione alle specificità di questo mercato, come ad esempio l’alto livello di personalizzazione dei prodotti per il mercato locale. Altri importanti partner commerciali, come la Spagna, si posizionano invece più in basso nel ranking (11/20) per basse performance economiche e regolamentari e una penetrazione del mercato e-commerce contenuta. Tuttavia, se da un lato la Spagna paga le relative modeste dimensioni del suo mercato digitale rispetto alle altre maggiori economie europee, dall’altro, la forte somiglianza culturale con l’Italia è un elemento di forza di questo mercato.

Quanta strada c’è da fare?

Sebbene i dati siano molto incoraggianti e da anni ormai si registra una continua crescita del canale e-commerce come strumento privilegiato per l’export, i risultati della ricerca dimostrano che il potenziale dell’export digitale non è ancora del tutto esplorato e che le PMI italiane presentano strategie di export digitale ancora poco mature. Ci sono, quindi, ancora ampi margini di crescita.

La dimensione ridotta delle imprese non risulta essere necessariamente un ostacolo, ma molto più importanti sono le competenze digitali e la tecnologia a disposizione.

L’Osservatorio ha sviluppato una mappatura per misurare il livello di maturità su 6 aree funzionali che caratterizzano una strategia di export digitale, da cui emerge che la maggioranza delle PMI si colloca in stadi iniziali di maturità per molte delle dimensioni indagate. I livelli di digitalizzazione più bassi nell’adozione di canali di vendita digitali, nell’uso di tecnologie a supporto dell’export e nell’utilizzo di cruscotti di indicatori strutturati per la valutazione dei progetti di internazionalizzazione. Questo fenomeno può essere spiegato da una scarsa propensione alla digitalizzazione, frutto di una carenza di competenze sui temi dell’innovazione digitale e tecnologica e di una cultura aziendale ancorata ai paradigmi del passato, nonché da una limitata disponibilità di risorse da allocare. Al contrario, la maggiore maturità si ritrova nel marketing & comunicazione e nella governance del progetto.

L’innovazione e il supporto pubblico

Cosa serve quindi per superare questo gap?

L’Osservatorio Export Digitale, nell’ambito del progetto “E-nternationalization”, sviluppato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy e da Invitalia con l’obiettivo di migliorare e rafforzare le politiche e gli strumenti della pubblica amministrazione per l’internazionalizzazione delle MPMI attraverso gli strumenti del digital export, ha analizzato la relazione tra export, innovazione, e supporto pubblico. I risultati dello studio evidenziano che esiste una relazione positiva tra export (sia tradizionale che digitale) ed innovazione, e che gli incentivi pubblici nazionali e regionali sono positivamente correlati all’adozione di ciascuna di queste strategie di crescita nelle PMI, anche se emerge un possibile effetto di “spiazzamento”.

L’export tradizionale è associato maggiormente a innovazioni di prodotto e di processo, mentre l’export digitale alle innovazioni organizzative e di mercato - spiega Stefano Elia, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Export Digitale -. Il supporto pubblico, pur essendo positivamente correlato a ciascuna di queste strategie di crescita, può generare, tuttavia, un possibile effetto di distorsione delle risorse nelle PMI, in quanto le imprese che accedono a fondi pubblici e che implementano contemporaneamente export (digitale o tradizionale) e innovazione, tendono a concentrarsi maggiormente su una delle due strategie a discapito dell’altra. Quindi, le politiche per l’erogazione di fondi pubblici alle PMI non dovrebbero essere standardizzate e la concessione di incentivi dovrebbe essere accompagnata da servizi non finanziari volti a potenziare le capacità gestionali e manageriali, ad esempio corsi di formazione e capitale umano”.

Per evitare ciò, quindi, da un lato le imprese italiane possono fare leva su incentivi come il Bonus Export Digitale, che concede 4.000 euro a fondo perduto a fronte di una spesa minima di 5.000 euro e per il quale è ancora possibile fare richiesta, e dall’altro devono puntare sulla conoscenza e sulla consapevolezza. Per esempio, possono accrescere le proprie competenze attraverso gli strumenti formativi messi a disposizione da SACE ed ICE, promuovendo un aggiornamento in chiave digitale di tutto l’ecosistema aziendale e di tutte le risorse, ma possono anche dotarsi di personale dedicato ai progetti di internazionalizzazione digitale, se non con una risorsa fissa anche solo con un Digital - Temporary Export Manager che può agire in via temporanea ed indirizzare l’impresa sulla giusta via della crescita sui mercati internazionali attraverso il digitale.

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A cura di Export.gov.it